Tra il 1965 e il 1966 Hannah Arendt tenne due corsi universitari, il primo alla New York School for Social Research e il secondo all'Università di Chicago, intitolato "Proposizioni morali fondamentali". Il corso alla New School fu suddiviso in quattro lunghe lezioni. Questo volume contiene il testo delle lezioni tenute a New York, a cui sono state aggiunte in nota le variazioni più rilevanti del corso di Chicago.
Nessuno più di Hannah Arendt si è reso conto che "le grandi crisi politiche del Novecento - lo scoppio della guerra totale nel 1914; l'ascesa dei regimi totalitari in Russia e in Germania, con il relativo annientamento di intere classi e razze di esseri umani; l'invenzione della bomba atomica...; la Guerra fredda; la Corea; il Vietnam e via dicendo tutti gli altri eventi che precipitano come le cascate del Niagara della storia - potevano essere viste come altrettanti sintomi di un generale collasso morale. Ma il nocciolo duro e controverso della diagnosi arendtiana sta nell'attribuire questo collasso morale non all'ignoranza o alla malvagità degli uomini, incapaci di far proprie le antiche verità morali, ma all'inadeguatezza di queste stesse verità morali intese come norme o criteri di giudizio su ciò che gli uomini sono ormai in grado di fare. Questa è la sola conclusione generale che Arendt si sia mai permessa di trarre: la generalità del collasso, la generalità del cambiamento che ha travolto tutto ciò che la nostra lunga tradizione di pensiero ha sempre considerato sacrosanto". Così Jerome Kohn, curatore del volume, commenta gli interventi contenuti in Responsabilità e giudizio, nove tra saggi, appunti, riflessioni ad alta voce e discorsi pubblici nei quali la Arendt intenta un vero e proprio processo alla parola "coscienza", bersagliandola di domande che, pur seppellite nel nostro passato, continuano ad assillare lo spirito.
"Le origini del totalitarismo" (1951) è un classico della filosofia politica e della politologia del Novecento. Per la Arendt il totalitarismo rappresenta il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell'epoca moderna e insieme la comparsa in Occidente di un fenomeno radicalmente nuovo. Le categorie tradizionali della politica, del diritto, dell'etica e della filosofia risultano inutilizzabili; quanto avviene nei regimi totalitari non si può descrivere nei termini di semplice oppressione, di tirannide, di illegalità, di immoralità o di nichilismo realizzato, ma richiede una spiegazione "innovativa". Lungi dal presentare una struttura monolitica, l'apparato istituzionale e legale totalitario deve rimanere estremamente duttile e mobile, al fine di permettere la più assoluta discrezionalità. Per questo gli uffici vengono moltiplicati, le giurisdizioni tra loro sovrapposte e i centri di potere continuamente spostati. Soltanto il capo, e una cerchia ristrettissima di collaboratori, tiene nelle sue mani gli ingranaggi effettivi della macchina totalitaria. Nelle Origini tale macchina viene smontata e analizzata pezzo per pezzo: i metodi propagandistici, le formule organizzative, l'apparato statale, la polizia segreta, il fattore ideologico e, infine, il campo di sterminio, istituzione suprema e caratteristica di ogni regime totalitario.
Nell'opera di Hannah Arendt, "Sulla rivoluzione" occupa una posizione centrale, insieme riflessione teorica ed esperienza morale della sua piena maturità. In questo libro, confluiscono i motivi fondamentali della sua ricerca e appare in tutto il suo significato l'idea alla quale è rimasta fedele tutta la vita, secondo cui la sola ragion d'essere della politica è la libertà, e suo compito è produrre situazioni che ne allarghino gli spazi, cioè produrre istituzioni e corpi politici "che garantiscano lo spazio entro cui la libertà può manifestarsi"; la politica fallisce invece allorquando per scelta o costrizione sia portata a deviare da questa strada. Di qui il giudizio sul sostanziale fallimento delle due rivoluzioni francese e russa e sulla sostanziale riuscita della rivoluzione americana, la prima delle rivoluzioni moderne. Il senso profondo del libro sta nella coraggiosa rivendicazione dell'autonomia della politica (e, in polemica con Marx, del primato del pensiero), nel suo martellante richiamo alla responsabilizzazione individuale e alla socializzazione, ma istituzionalizzata, del potere, spinta fin quasi a toccare i confini di un antistatalismo libertario, nella perseveranza a individuare e combattere il mito ricorrente della violenza, la cui inevitabile conclusione è stata ogni volta il terrore, la deviazione e la fine della rivoluzione, la disfatta in primo luogo degli ideali in nome dei quali era stata iniziata.
Nel 1955 venne proposto ad Hannah Arendt di scrivere una "Introduzione alla politica". Il progetto concordato in quell'occasione non vide mai la luce, ma i manoscritti redatti dalla Arendt in previsione della pubblicazione sono stati ordinati e commentati da Ursula Ludz che li ha raccolti in questo volume. I brani forniscono indicazioni sulla filosofia politica, sulla visione del mondo, sull'autonomia del pensiero di Hanna Arendt.
Tra il 1965 e il 1966 Hannah Arendt tenne due corsi universitari, il primo alla New York School for Social Research e il secondo all'Università di Chicago, intitolato "Proposizioni morali fondamentali". Il corso alla New School fu suddiviso in quattro lunghe lezioni. Questo volume contiene il testo delle lezioni tenute a New York, a cui sono state aggiunte in nota le variazioni più rilevanti del corso di Chicago.
Il volume raccoglie diversi saggi che approfondiscono i temi affrontati nella "Banalità del male" e nella "Vita della mente", e in primo luogo la responsabilità personale durante le dittature. Il lungo saggio centrale è una riflessione sull'inadeguatezza delle tradizionali verità morali come metro per giudicare ciò di cui siamo capaci, e riconsidera la nostra capacità di distinguere il bene dal male, il morale dall'immorale. Nella seconda parte i temi teorici vengono applicati nel particolare con alcune considerazioni sull'integrazione razziale, il Watergate, la sconfitta in Vietnam, i processi ai criminali nazisti.
Pubblicato per la prima volta nel 1951, è un classico della filosofia politica e della politologia del Novecento ed elabora una teoria del totalitarismo destinata ad assumere valore paradigmatico. Per la prima volta il fenomeno totalitario viene preso in esame nel suo significato generale, considerandone anche le implicazioni culturali e filosofiche oltre a quelle storiche e politiche. La Arendt sostiene che il totalitarismo rappresenta il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell'epoca moderna, ma segna anche la comparsa nella storia occidentale di un fenomeno nuovo e impensato. Le categorie della politica, del diritto, dell'etica risultano inutilizzabili poichè è un fenomeno che travalica i confini della semplice oppressione.