
L'avanzata turca nei Balcani nel Quattrocento e l'occupazione delle terre d'Albania costrinse molti alla fuga: tanti albanesi ripararono a Venezia. Quale fu la politica di accoglienza della Serenissima? Quale destino ebbero le donne, i bambini e gli uomini scampati agli eventi bellici? Il libro segue le loro vicende e il processo di integrazione nel tessuto socio economico veneziano. Illustra inoltre i contributi albanesi alla cultura umanistica veneziana. Segue il formarsi dello stereotipo della figura dell'albanese nella letteratura veneta del Cinquecento. Il libro apre nuove prospettive di indagine sul versante delle arti figurative e sulla committenza artistica tra Quattrocento e Cinquecento.
Che fine hanno fatto i nazisti sfuggiti alla cattura e al processo di Norimberga? Andrew Nagorski ha ricostruito i casi dei gerarchi che riuscirono a evitare la condanna e che si rifugiarono all'estero. E, al contempo, ci racconta anche degli uomini e delle donne che si misero sulle loro tracce e che spesso scovarono questi criminali, riconsegnandoli finalmente alla giustizia internazionale. Alcuni "cacciatori di nazisti" divennero famosi, come Simon Wiesenthal, ma molti altri operarono nell'ombra, riuscendo a trovare i ricercati solo quando erano quasi arrivati al termine della loro vita.
Il 1941 è un anno cruciale che ha contribuito a cambiare per sempre il destino del mondo come lo conosciamo oggi All'inizio del 1941 le armate naziste occupavano gran parte dell'Europa. Il Regno Unito di Churchill era in una condizione di isolamento, ormai ultimo baluardo di resistenza a Hitler, ridotto allo stremo dagli attacchi dei bombardieri e dei sottomarini tedeschi. Stalin, nel rispetto del patto di non belligeranza, era ancora un semplice spettatore, mentre Roosevelt si riproponeva di tenere gli Stati Uniti fuori dal confitto. In questa situazione, Hitler era convinto che la vittoria fosse ormai vicina. Alla fine del 1941, lo scenario era completamente diverso. Hitler ave-va giocato d'azzardo e aveva ripetutamente perso: invadendo l'Unione Sovietica nella stagione dell'anno meno opportuna e commettendo una serie di disastrosi errori militari; facendo dell'assassinio di massa e del terrore le sue armi preferite e affrettandosi a dichiarare guerra agli Stati Uniti dopo l'attacco del Giappone a Pearl Harbor. La Gran Bretagna, così, si era guadagnata due potenti alleati: la Russia e gli Stati Uniti. La Germania era ormai condannata alla sconfitta.
Populismo, polarizzazione, post-verità. Tendenze, tecnologie e comportamenti vecchi come il tempo. Ma i tiranni di oggi li combinano in un modo nuovo. Minacciano la vita democratica con strategie finora impensabili e lo fanno, in gran parte, in modo occulto. Il potere non è cambiato. Ma gli strumenti con cui viene conquistato ed esercitato sì. Questo libro racconta gli autocrati delle tre "P", raccoglie personaggi terribili e affascinanti, storie travolgenti di presa e di perdita del potere, esempi vividi delle tattiche e dei trucchi usati da certi leader per contrastare le forze che minacciano la loro autorità. Moisés Naím rintraccia i nessi meno ovvi tra gli eventi globali e le strategie politiche che, se presi insieme, mostrano una profonda e spesso furtiva trasformazione del potere e della politica in tutto il mondo. C'è una nuova guerra ideologica, in cui il potere politico tende a diventare assoluto fino a rendersi invisibile e quindi incontestabile. Dunque è vero che la politica, per continuare a esistere, ha bisogno di essere sempre meno democratica e sempre più autocratica? Perché il potere si sta concentrando in alcuni luoghi mentre in altri si sta frammentando e degradando? E, infine, la grande domanda: la libertà ha un futuro? Naím rivela come, guardando bene, le strategie per consolidare il potere siano le stesse anche in luoghi con circostanze politiche, economiche e sociali molto diverse, e offre idee e intuizioni su cosa possiamo fare per difendere la libertà e la democrazia. Una storia di manipolazione e di conquista che ha per protagonisti Putin, Trump, Orbán, Duterte, Erdo?an, Berlusconi e molti altri. La fine della storia e la vittoria del liberalismo occidentale sono acqua passata. Questo è il tempo della rinascita dei tiranni.
Il genocidio armeno del 1915 ad opera dei turchi, l'Olocausto, la deportazione nel 1944 ad opera dei sovietici di oltre 600.000 ceceni e tatari della Crimea, l'espulsione dei tedeschi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia alla fine dell'ultimo conflitto mondiale, la guerra jugoslava: cinque casi esemplari in una storia comparata di tragica attualità.
Firenze potrebbe sembrare l'ultima città ad aver bisogno di una presentazione, data la sua fama leggendaria: patria natale del Rinascimento e culla della moderna civiltà occidentale. Questo libro offre tuttavia un'interpretazione di circa quattro secoli di storia fiorentina da una prospettiva diversa da quella della leggenda che presenta Firenze come un miracolo inspiegabile, sostanzialmente senza storia e contesto. Da tempo gli storici dell'arte e della letteratura hanno inquadrato le opere della Firenze rinascimentale nel loro contesto storico. Ma altrettanto va fatto per sradicare l'idealizzazione dei detentori della ricchezza e del potere nella Firenze di quei secoli. La sua storia fu piena di conflitti, sia all'interno dell'élite sia fra questa e le altre classi sociali. La sua storia e cultura si svilupparono attraverso controversie e antagonismi di classe. Durante il XIII secolo nelle città italiane il "popolo" organizzato nelle arti di mestiere e nelle compagnie militari di quartiere, imbevuto dei concetti di cittadinanza e di bene comune assorbiti dalla Roma antica, lanciò la prima sfida politicamente efficace e ideologicamente fondata a una élite di detentori del potere; una sfida, nel caso di Firenze, che riuscì, non a rimpiazzare l'élite, ma a trasformarla.
L'associazione culturale Cesare Guasti è riuscita a convincere Sergio Nannicini, noto studioso e fine letterato pratese, a riunire in volume dei suoi saggi, alcuni dei quali inediti. L'opera offre al lettore un approfondimento sulla vita di alcuni noti personaggi pratesi dell'800, e due interventi che prendono in esame l'arte di due artisti contemporanei della città di Prato: Dino Bencini e Adon Brachi (deceduto nel 2009). Questi due interventi introducono un ulteriore studio sui primi del 900, con particolare attenzione al trimestrale l'Osservatorio, pubblicato dal comune di Prato prima della Seconda Guerra Mondiale, e allo scrittore Ferdinando Pratesi. Il volume si conclude con la recensione di un 'libriccino' pubblicato dal Gruppo bibliografi pratesi nel 2005 a cura di Anna Maria Nistri e Giovanni Pestelli.
La peste arrivò in Europa nell'ottobre 1347, su una nave proveniente dalla Crimea che attraccò a Messina carica di marinai morti o moribondi. Si diffuse con una velocità impressionante e uccise circa un terzo dell'intera popolazione europea. Fino a tutto il Seicento, l'Europa ha dovuto convivere con ondate pressoché regolari di epidemia; la popolazione europea ha impiegato quattro secoli a tornare ai livelli precedenti il 1350. Questo volume sintetizza in una narrazione densa di fatti la storia della «morte nera» e del suo impatto sull'Europa; dopo aver richiamato le maggiori epidemie del mondo antico e medievale, gli autori raccontano lo scoppio della peste del Trecento, i tentativi di comprenderne le cause e di arginarla, gli effetti delle ricorrenti epidemie e i due ultimi maggiori episodi, la famosa Grande Peste di Londra del 1665 e quella di Marsiglia del 1720.
La peste arrivò in Europa nell'ottobre 1347, su una nave proveniente dalla Crimea che altraccò a Messina carica di marinai morti o moribondi. Si diffuse molto in fretta e uccise circa un terzo dell'intera popolazione europea. Fino a tutto il Seicento, l'Europa ha dovuto convivere con ondate pressoché regolari di epidemia; la popolazione europea ha impiegato quattro secoli a tornare ai livelli precedenti il 1350. La peste ha dunque impresso un segno fortissimo e decisivo sulla vita europea nell'età moderna. Questo volume sintetizza la storia della "morte nera" e del suo impatto sull'Europa.
Il lavoro a maglia è una metafora perfetta, non solo per parlare di ricordi personali, vicende sentimentali e aneddoti familiari, ma anche, ampliando la prospettiva, per raccontare meccanismi globali economici e politici. Ce lo dimostra Loretta Napoleoni in questo libro che tratta di sociologia e di politica, ma è anche un doloroso viaggio alla scoperta di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse. Il viaggio della maglia ha inizio tra il 6000 e il 4000 a.C., quando i nostri progenitori avevano messo a punto un metodo rudimentale per creare degli indumenti e ripararsi così dalle intemperie, e prosegue attraverso il medioevo e il rinascimento con le corporazioni di lavoratori dell'arte della lana e il successo in tutta Europa dei filati e tessuti italiani. Passa per la rivoluzione francese, con le sue "tricoteuses" che sferruzzavano sedute davanti alla ghigliottina, e per quella americana cui hanno contribuito le pioniere, le famose «api che sferruzzano», per arrivare alla Grande Guerra, quando gli indumenti di lana fatti a mano da chi stava a casa hanno contribuito a tener caldi i soldati in trincea, e alla seconda guerra mondiale, quando le spie-magliaie si sono servite della maglia come di un codice segreto per inviare messaggi che non dovevano essere intercettati. Dopo un periodo di stasi, il lavoro a maglia è poi tornato alla ribalta negli anni Sessanta con il movimento hippie, diventando uno strumento di rifiuto dell'omologazione e del consumismo imposti dal «sistema». In anni recenti le neuroscienze hanno scoperto che i tessuti fatti ai ferri sono ottimi per rappresentare concetti della fisica d'avanguardia difficili da ricreare con altri materiali, ma anche che lavorare a maglia ha sulla mente e sul fisico gli stessi effetti terapeutici calmanti e rilassanti dello yoga e della meditazione. E il movimento femminista ha infine smesso di considerare quest'attività un simbolo della sottomissione femminile, ma l'ha anzi rivalutata tramutandola in un segno di liberazione dagli stereotipi di genere. Oggi in tutto il mondo si assiste a fenomeni di mobilitazione spontanei come lo "yarn bombing" e l'"urban knittering", veri e propri gridi di protesta pacifici contro le diseguaglianze di ogni tipo, sociali, razziali e di genere, contro gli aspetti più deleteri della globalizzazione, l'ecodevastazione del nostro pianeta e la dilagante realtà virtuale, nel cui freddo cyberspazio siamo allo stesso tempo strettamente connessi e spaventosamente isolati. Siamo disorientati e abbiamo un disperato bisogno di strategie e strumenti per «guarire» la società in cui viviamo. Guardando al passato, ci accorgiamo che il lavoro a maglia è sempre stato un leit motiv, un filo conduttore, una sagola che ha permesso all'umanità di attraversare in sicurezza i mari tempestosi delle transizioni epocali. Ed è per questo che ancora oggi può aiutarci a intrecciare relazioni in modo più creativo e a ritrovare il bandolo della matassa delle nostre vite.