
«Borges è il più grande teologo del nostro tempo: un teologo ateo»: è quanto scrive di lui Leonardo Sciascia. Non ha mai ricevuto il premio Nobel, ma è stato tra gli scrittori più originali del suo tempo. Amato da Bergoglio, che quando era docente di Lettere a Santa Fe lo invitò a tenere alcune lezioni ai suoi studenti, Jorge Luis Borges è stato costantemente attratto dai temi teologici e dai testi sacri. Una preoccupazione metafisica per il trascendente corre come un brivido per tutta la sua opera mobile ed eclettica, un'opera a cui la Bibbia offre una specie di lessico tematico, simbolico e metaforico, soprattutto attraverso Giobbe, Qoèlet e i Vangeli. Frutto di un'ispirazione trascendente, il linguaggio poetico è per lo scrittore argentino analogo a quello sacro e il volto di Cristo è da cercare negli specchi ove si riflettono i visi umani.«Gli uomini - ha scritto Borges - lungo i secoli hanno ripetuto sempre due storie: quella di un vascello sperduto che cerca nei mari mediterranei un'isola amata, e quella di un Dio che si fa crocifiggere sul Golgota».
In una riflessione che presta ascolto alla Bibbia ebraica e alla voce dei teologi, al pensiero di Freud e alla letteratura di Dostoevskij, Julia Kristeva affronta il tema dei giovani radicalizzati nel contesto dei malesseri della civilizzazione. L’impotenza del discorso politico, l’inarrestabile crescita del populismo, l’affermazione di culti identitari e l’esplosione della pulsione di morte sono sintomi di un disagio che, in alcuni casi, produce l’incapacità di distinguere il bene e il male, l’interno e l’esterno, il soggetto e l’oggetto. E’ un quadro che richiede di mobilitare tutti i mezzi, politici ed economici, «senza dimenticare quelli che ci danno la conoscenza delle anime», per accompagnare con la delicatezza dell’ascolto necessario, con un’educazione adatta e con la generosità che si impone, questa dolorosa malattia che irrompe su di noi. «Domandare perdono per il male commesso, accordare il proprio perdono per il male subìto – scrive Julia Kristeva - sono due condizioni necessarie perché l’avvenire cessi di ripetere il passato e rinasca la speranza».
Non ci si può sorprendere se gli ebrei, almeno da quindici anni, lentamente ma in modo costante abbandonano l'Europa. Ogni cittadino europeo cosciente della propria storia culturale non può non avvertire il carattere problematico di questo intreccio tra violenza e partenza. L'urgenza, allora, è quella di riflettere nuovamente sull'emancipazione in Europa e provare a comprendere che cosa ne abbia bloccato l'impulso fino a impedirci di vedere la singolarità di ciò che ha insegnato il suo più eminente «caso esemplare». Con la ripresa della questione ebraica viene messo all'ordine del giorno un argomento attuale della filosofia politica, la cui urgenza viene dettata dalla condizione pratica e intellettuale del nostro continente.
Pubblicata per la prima volta nel 1976, questa biografia di Gianni Agnelli, scritta da Enzo Biagi, viene ora riproposta per il suo grande valore documentario. Questa nuova edizione è arricchita da una cronologia della vita dell'Avvocato e di quanto accadde nella "sua" Fiat e da una parte conclusiva che comprende le interviste rilasciate a Enzo Biagi fra il 1980 e il 2001.
Un uomo morto, la via del paradosso, la legge dello sforzo inverso. Duemila anni prima di Machiavelli, un militante filosofo afferma che la strategia è l'affare più importante dello Stato. Che l'inganno è il principio della tattica. Che l'apparenza di debolezza è la via della vittoria. Che il guerriero più forte è colui che è già in sé morto. Un trattato di arte militare cinese antichissimo, eppure così attuale. Un libro amato da grandi personaggi della storia, da Napoleone a Mao Tse-tung. Una voce dalla remota epoca delle "primavere e autunni" per moderni samurai.
Ormai abbiamo in tasca il mondo intero. In pochi centimetri di plastica e microchip sono racchiuse infinite possibilità di comunicare, informarsi, divertirsi, concludere un affare, e addirittura innamorarsi. È il telefonino: simbolo dell'era digitale, strumento che incarna e riassume il bisogno tutto umano di parlare, ascoltare, capire. C'è chi sfoggia il modello di "quarta generazione" e chi eredita quelli dei fratelli maggiori. Chi ci urla dentro gesticolando e chi lo contempla come in un raptus. A tutti, questo piccolo oggetto ha rivoluzionato la vita. In meglio o in peggio? Stiamo rischiando di chiuderci in un "autismo digitale"? Di volta in volta idolatrato come l'incarnazione stessa del progresso o al contrario additato come allegoria di una generazione incapace di relazionarsi con sé e con il prossimo, il telefonino è lo specchio di un'epoca, dà corpo alle contraddizioni di tutta la società. Vittorino Andreoli prende le mosse dall'uso e abuso del cellulare per interrogarsi sugli uomini, le donne e soprattutto i ragazzi e le ragazze di oggi, sui loro stili di vita, sui loro atteggiamenti verso gli altri, verso la vita stessa. Celebra le conquiste dell'informatica e le opportunità illimitate di un mondo in cui le distanze non esistono più, ma al contempo ci invita a non perdere di vista la dimensione umana, a non sacrificare la nostra intelligenza a un idolo tecnologico. E a non affidare alle macchine il nostro potere di pensare e decidere.
"Poiché indulgo nell'uso di frasi scherzose e sono allergico a ogni genere di discorsi e concetti complicati, c'è chi mi guarda con sufficienza, quasi scandalizzandosi intellettualmente a causa di un mio presunto gusto per le battute. Ma noto solo sommessamente che sfuggire per sé e per gli altri alla noia, alla prolissità, alla pedanteria è, a mio giudizio, meritorio." È con questa arguta e graffiante intelligenza che Giulio Andreotti ha attraversato settant'anni della storia d'Italia sempre ai posti di comando. In queste pagine, traccia una sorta di ironica autobiografia in pillole, raccogliendo "frammenti di osservazioni, rilievi, indirizzi che hanno via via costituito la mia risposta o la mia reazione dinanzi a fatti, indirizzi, persone con cui mi trovavo a confrontarmi nei vari mestieri nei quali, da studente in poi, mi son trovato a operare".
Aldo Moro nella poltrona di casa, col cappello floscio, mentre raccoglie i fichi e sbuccia le arance, mentre si fa la barba. Moro che canta filastrocche alla figlia, gioca a scacchi col nipotino, va al cinema con la famiglia a vedere i western. E piange, disperato, alla morte del padre. C'è poca politica in questo breve, lieve, struggente "album di famiglia" di Agnese Moro: qualche viaggio, gli onnipresenti giornali, le preoccupazioni del partito. Il Moro stratega, l'uomo pubblico contornato dal mito del martirio, è assente da queste pagine, sostituito da una figura di padre di famiglia ben più reale e commovente del ritratto convenzionale.
Paolo Grossi, presidente emerito della Corte costituzionale, è uno dei più insigni giuristi italiani. In questo breve libro, scritto con chiarezza e passione, si rivolge a tutti i lettori, ma in particolare ai più giovani e ai molti ragazzi incontrati nelle scuole italiane in occasione degli incontri organizzati per i 70 anni della Costituzione, entrata in vigore nel 1948. La riflessione si concentra sull’aspetto vivo e vitale della legge fondamentale del nostro Paese e sui grandi temi che hanno richiamato l’attenzione dei padri costituenti: l’educazione, l’economia, lo stato sociale, l’uguaglianza, l’antifascismo e i diritti dei migranti. In appendice al libro vengono riportati i principali articoli della Costituzione.
Il saggio della Weil sui partiti politici e sulla loro aspirazione totalitaria, che risulta oggi di grave attualità, viene proposto nella traduzione e con il commento del grande sociologo Franco Ferrarotti, che per primo scoprì e propose in Italia questo testo.
Il libro è una raccolta di interventi condotti dall’autrice in oltre tre anni di collaborazione al «Messaggero di sant’Antonio». L’autrice ha lasciato scorrere dinanzi ai suoi occhi piccoli e grandi interrogativi del vivere quotidiano guardandosi dalla tentazione di fornire ricette di qualsiasi tipo, mossa unicamente dal desiderio di scoprire il nocciolo delle cose.
Autore
ADA FONZI è professore emerito di psicologia dello sviluppo all’Università di Firenze. Ha condotto ricerche sul linguaggio, sul pensiero magico, sulle condotte prosociali e antisociali, affrontando per la prima volta in Italia lo studio del fenomeno del bullismo. All’attività scientifica ha affiancato un’intensa produzione narrativa, in cui ha saputo conciliare competenza psicologica e ideazione creativa.