
C'era una volta un bambino che aveva un dolore, non se ne separava mai. "Il dolore era fedele al bambino," ed era solo con lui che voleva giocare. Il bambino se ne prende cura, lo nutre, lo accompagna ai margini del piccolo paese ai piedi di una montagna, nel bosco, lo tiene con sé a scuola, sotto la tavola quando mangia. Anche il padre del bambino ha un dolore, che a volte, senza preavviso, butta giù le porte della casa, e latra con urli che sembrano arrivare dal centro del mondo. Quel dolore così distruttivo spaventa il bambino e lo fa sentire solo: almeno fino a quando, insieme al suo cucciolo, conosce la bambina sottile che vive oltre la ferrovia. Allora ogni cosa prende la forma di lei, le foglie che cadono sono le sue mani, il passaggio a livello le sue ciglia che sbattono, i binari le sue gambe sottili distese nell'erba. Con un testo critico di Emanuele Trevi.
Si possono abbandonare il proprio padre e la propria madre? Si può sbattere la porta, scendere le scale e decidere che non li si vedrà più? Mettere in discussione l'origine, sfuggire alla sua stretta? Dopo dieci anni sottratti al logoramento di una violenza sottile e pervasiva tra le mura di casa, finalmente un figlio può voltarsi e narrare la sua disgraziata famiglia e il tabù di questa censura "con la forza brutale del romanzo". E celebrare così un lacerante anniversario: senza accusare e senza salvare, con una voce "scandalosamente calma", come scrive Emmanuel Carrère a rimarcarne la potenza implacabile. Il racconto che ne deriva è il ritratto struggente e lucidissimo di una donna a perdere, che ha rinunciato a tutto pur di essere qualcosa agli occhi del marito, mentre lui tiene lei e i figli dentro un regime in cui possesso e richiesta d'amore sono i lacci di un unico nodo. L'isolamento stagno a cui li costringe viene infranto a tratti dagli squilli di un apparecchio telefonico mal tollerato, da qualche sporadico compagno di scuola, da un'amica della madre che viene presto bandita. In questo microcosmo concentrazionario, a poco a poco si innesta nel figlio, e nei lettori, un desiderio insopprimibile di rinascita - essere sé stessi, vivere la propria vita, aprirsi agli altri senza il terrore delle ritorsioni. Con la certezza che, per mettersi in salvo, da lì niente può essere salvato. L'anniversario è prima di tutto un romanzo di liberazione, che scardina e smaschera il totalitarismo della famiglia. Ci ferisce con la sua onestà, ci disarma con il suo candore, ci mette a nudo con la sua verità. È lo schiaffo ricevuto appena nati: grazie a quel dolore respiriamo. Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l'ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.
Sono le dieci di sera, dentro e fuori del Museo di Anne Frank, ad Amsterdam. Per tutto il giorno, come ogni giorno dell'anno, migliaia di persone si sono assiepate davanti alla casa nascondiglio di Anne Frank, per poterla visitare. Sono turisti da tutto il mondo arrivati fin lì con le guide in mano: bambini che reclamano i mulini a vento invece del solito museo, adolescenti annoiati, maestre di scuola con in borsa il diario più popolare del mondo, famiglie, single, cani sciolti. Sono le dieci di sera, e si avvicina l'ora della chiusura. Uno dopo l'altro, i visitatori si avviano verso l'uscita, mentre una voce, in tutte le lingue, avvisa la gentile clientela che è giunto il momento di recuperare giacche e borse e avviarsi verso la porta che si affaccia su Prinsengracht 263. Eppure, nonostante i richiami, ci sono tre persone che non raggiungono l'uscita. Sono un padre e una bambina che si sono persi, e un ragazzo arrabbiato con i genitori e col mondo. Le porte si chiudono, e loro restano lì, dentro quel posto in cui si è nascosta la Storia, e in cui ora sono loro a essere intrappolati. Soltanto loro tre, tra i fantasmi di ieri e le loro presenze in carne e ossa di oggi. E la notte sembra non finire mai. Con l'adattamento di Sergio Ferrentino.
«Mi riconosci» è la storia di un'amicizia. Uno scrittore maturo e uno scrittore giovane hanno camminato in equilibrio sul filo di un'intesa trasognata e terrena. L'hanno fatto senza rete, tenendosi d'occhio. Insieme sono riusciti a guardare dentro il mistero delle parole. Per un tempo più o meno lungo sono stati amici, come possono esserlo uno scrittore maturo che ama l'impertinenza dei giovani e uno scrittore giovane più incline a proteggere che a essere protetto. Poi un giorno arriva la malattia, e la corda su cui camminavano comincia a tremare. È in quel momento, quando il filo lascia cadere il più vecchio, che il giovane comincia a raccontare. Perché solo raccontando dell'altro, del suo funambolismo, e della sua caduta, può sperare di non perdere l'equilibrio. «Mi riconosci» è un ballo intorno all'abisso delle parole, del nonsenso, del sogno. È la storia della nostalgia di essere vivi che i due scrittori hanno condiviso, e che ora è colmata di gesti, di oggetti che prendono vita, di case che fanno i dispetti, di bambini che sanno scombinare le carte, di sorrisi irriverenti, sardonici, pieni di luce. «Mi riconosci» è l'omaggio, commovente e stupefatto, di Andrea Bajani alla memoria di Antonio Tabucchi.
"L'eccezionale romanzo di Andrea Bajani – eccentrico e appassionato, spiazzante e destabilizzante, torna di continuo a visitarmi, lasciandomi ogni volta leggermente scosso, ma anche consapevole dell'importanza cruciale dei romanzi nel gettare maggiore chiarezza sulla nostra esistenza. Davvero straordinario" – Richard Ford
Un giovane uomo e una madre persa da tempo. A riunirli, infine, la morte di lei, avvenuta lontano, nella Romania che l'aveva allontanata da casa e dall'affetto del figlio per inseguire un sogno di ricchezza, lo stesso di molti italiani partiti alla conquista dell'Est dopo il crollo del blocco comunista. «Mi avevi disegnato il mondo sopra un foglio, la sera prima, e mi avevi fatto vedere dove andavi. Noi siamo qui, avevi detto, e domani io sarò in questo punto quaggiù. Avevi tracciato una riga con un pennarello rosso che partiva da casa e arrivava fin lì. È un ponte, dicevi, è come passare dall'altra parte del fiume.» Ripercorrendo il tragitto che l'ha portata via, osservando i medesimi panorami, occupando i luoghi in cui lei stessa ha vissuto il tempo della loro separazione, Lorenzo cerca di immaginare i pensieri e le emozioni di una donna il cui ritratto elusivo è diventato negli anni
Due narrazioni si intrecciano in questo libro, separate dai secoli ma unite da un luogo, i Balcani, e da un tema, l'identità. La prima e più importante dispiega la grandiosa vicenda storica del pascià Mehmet Sokollu, alias Bajica Sokolovic, giovane serbo strappato alla sua terra per essere formato nelle file dell'alta burocrazia dell'Impero ottomano, fino a diventarne gran visir al servizio di Solimano il Magnifico. La seconda narrazione ha inizio in una località termale in Bosnia verso la fine degli anni Settanta del XX secolo e mette in scena lo scrittore stesso, spesso accompagnato dall'amico Orhan Pamuk, e le sue riflessioni intorno ai concetti di nazione, di confine, di fede e, soprattutto, di identità, stimolate e quasi evocate dai vapori di un bagno turco proprio al gran visir intitolato. Serbo e turco insieme quest'ultimo, cristiano ortodosso e infedele suo malgrado, protagonista di una straordinaria ascesa ai vertici dell'Impero ottomano di cui avrebbe retto le sorti per lunghi anni, e intimo amico di un altro grande straniero cristiano al servizio del sultano (questa volta greco), Sinan, il più grande architetto islamico di tutti i tempi. Così la vicenda storica rivela allo scrittore il debito iniziale di ogni identità, storica, culturale ma anche personale, la permeabilità di ogni confine - quale terra più dei Balcani può esserne testimone?
Quando il 10 aprile del 1912 si imbarca sul Titanic, Morgan ha poco più di vent'anni, un'infanzia trascorsa con un zio ricco e dispotico, armatore del transatlantico, un futuro incerto davanti a sé. Diviso tra un sentimento sottilmente snob della vita e un desidero indefinito di fare grandi cose, Morgan affronta il viaggio inaugurale del Titanic verso New York con l'animo pieno di speranze e progetti ambiziosi. L'incontro con alcuni amici di famiglia, tra cui la bella e distaccata Wallis di cui si scopre innamorato, e il misterioso Scurra, un affascinante avventuriero dal passato oscuro, lo porterà a mettere in discussione se stesso fino a perdere ogni punto di riferimento.
L'alba color acciaio è fredda come la pioggia sottile che si deposita silenziosa tra i suoi capelli e le scivola lungo il collo. Chiara Ravello però ha smesso di farci caso nell'istante in cui si è inoltrata nel quartiere ebraico. Ha come la sensazione che quei vicoli siano stati svuotati di vita e non rimanga che l'eco di una sofferenza muta. Quando sbuca in una piazza, Chiara vede un camion sul quale sono ammassate diverse persone. Tra di esse, nota una madre seduta accanto al figlio. Le due donne si fissano per alcuni secondi. Non si scambiano nemmeno una parola, basta quello sguardo. Chiara capisce e, all'improvviso, incurante del pericolo, inizia a gridare che quel bambino è suo nipote. Con sua grande sorpresa, i soldati fanno scendere il piccolo e mettono in moto il camion, lasciandoli soli, mano nella mano. Sono passati trent'anni dal rastrellamento del ghetto di Roma e, all'apparenza, Chiara conduce un'esistenza felice. Abita in un bell'appartamento in centro, ha un lavoro che ama, è circondata da amici sinceri. Tuttavia su di lei grava il peso del rimpianto per quanto accaduto con Daniele, il bambino che ha cresciuto come se fosse suo e che poi, una volta adulto, è svanito nel nulla, spezzandole il cuore. E, quando si presenta alla sua porta una ragazza che sostiene di essere la figlia di Daniele, per Chiara arriva il momento di fare i conti con gli errori commessi, con le scelte sbagliate, con i segreti taciuti troppo a lungo.
Berlino, settembre 1944. Ulrich von Hassell, ex ambasciatore tedesco in Italia e membro della resistenza contro il regime nazista, viene condannato a morte per aver partecipato a una congiura contro Hitler. Per punire i dissidenti Himmler ordina l’arresto delle famiglie di tutti i sospettati. Nella speranza di sfuggire alle rappresaglie dei nazisti Fey, la figlia di von Hassell, si nasconde nella campagna italiana. Ma quando le SS irrompono nell’antico palazzo in cui si è rifugiata, strappandole i due figli, il suo destino è segnato. Per lei ha inizio un terrificante viaggio attraverso l’Europa massacrata dalla guerra, alla ricerca dei suoi bambini. Da un palazzo nel cuore della campagna italiana agli orrori del campo di concentramento di Buchenwald, Catherine Bailey racconta una straordinaria storia di resistenza durante la seconda guerra mondiale, in cui il sacrificio estremo è sempre compiuto con coraggio e speranza.
Un uomo accusato di complotto contro il regime nazista.
Una famiglia perseguitata.
Un viaggio tra Italia e Germania per salvare due bambini.
Un romanzo potente, di grande ispirazione. Un viaggio nell’oscurità più buia dalla quale la protagonista cerca disperatamente di sottrarsi.
Sunday Times
Catherine Bailey ha uno straordinario talento.
Daily Mail
Quando, al termine di una conferenza, Federico Burzio, noto esperto dei misteri di Rennes-le-Chàteau, riceve un manoscritto da uno sconosciuto, non sa ancora che quelle poche pagine daranno il via a una pericolosa catena di aggressioni e di morti. Dopo aver letto svogliatamente le prime righe, Burzio si rende conto di essere di fronte a una nuova incredibile interpretazione delle teorie che dalla fine dell'Ottocento si sono create intorno alla controversa figura di Bérenger Saunière, parroco di Rennes-le-Chàteau, e al fantomatico tesoro del luogo. Decide allora di approfondire, ma scopre ben presto che l'indirizzo riportato sullo scritto è falso, così come il nome dell'autore, Aldo Marguta, che non è altro che l'anagramma delle parole "Tour Magdala", simbolo dell'antica città francese. Pochi giorni dopo, ecco arrivare una lettera altrettanto misteriosa, in cui un antiquario sostiene di aver decifrato un codice che, traslato su una mappa, conduce proprio alla chiesa di Santa Maria Maddalena di Rennes-le-Chàteau. Quando però Federico prova a mettersi in contatto con l'uomo, scopre che ha da poco perso la vita in un incidente che non ha nulla di casuale. Ma Burzio non è l'unico a interessarsi ai due scritti: una setta fondata due secoli prima, la Confraternita dei Vincenti, è sulle sue tracce ed è disposta a tutto pur di fermarlo.
Statue assassine, disegni, dipinti e incisioni che prefigurano orrendi delitti, ritratti di persone defunte che si animano e scendono dalla cornice intrecciando inquietanti liaison con i viventi: grandi scrittori come Hawthorne, Mérimée, Dickens, Poe, Pirandello – accanto a maestri riconosciuti della ghost story come Le Fanu e M.R. James – hanno affrontato il rapporto tra l’opera d’arte e il mondo degli spiriti, schiudendo inquietanti prospettive sulla contaminazione tra l’aldiquà e l’aldilà della tela, tra questo e l’altro mondo.
Enrico Badellino ha tradotto e curato, tra gli altri, Balzac, Flaubert, Stendhal, Zola, Gide, Mérimée. Ha pubblicato numerosi volumi e antologie, tra cui Sepolto vivo! (Torino 1999), con un’introduzione di Malcom Skey, Dizionario delle morti celebri (Torino 2004), Bulli di carta. La scuola della cattiveria in cento anni di storia (Torino 2010), con Francesco Benincasa.
Il 24 agosto del 79 d.C. l'eruzione del Vesuvio seppellì sotto una spessa coltre di cenere Pompei e i suoi abitanti. A fine Settecento, grazie alla tecnica dell'iniezione di gesso, i corpi tornarono vivi, ognuno con la testimonianza del suo calco. È da questo immaginario potente e inconsueto che prendono vita i "fantasmi" di Pompei, le storie qui raccolte da Enrico Badellino: l'elegia sulla vanità delle umane cose di Delphine de Girardin, i misteri di Iside evocati da Gérard de Nerval, la stralunata ironia di Vittorio Imbriani e due sorprendenti storie d'amore: quella, narrata da Théophile Gautier, tra un parigino di metà Ottocento e una fanciulla della Pompei romana, e quella della Gradiva narrata da Wilhelm Jensen, così ambigua da dare a Freud l'occasione per il più straordinario esercizio di indagine psicanalitica su un personaggio letterario.