
Mercoledì 28 maggio 1980, ore 11 del mattino. In via Solari, a Milano, sei adolescenti assassinano Walter Tobagi, inviato del "Corriere della Sera". L'attentato è rivendicato dalla Brigata 28 Marzo. Questa è la rappresentazione, quasi in tempo reale, dell'itinerario di questi sei brigatisti, di questi sei figli della buona borghesia italiana affascinati dalla violenza. La loro storia comincia sui banchi del liceo, quando si organizzano i grandi movimenti di protesta contro gli attentati neofascisti, e si nutre con l'escalation delle manifestazioni del 1977, con la nascita dei movimenti dell'autonomia, gli espropri proletari, la guerriglia urbana. Ma è anche storia di rivalità con le altre organizzazioni della lotta armata, in particolare Brigate Rosse e Prima Linea, già pronte a conquistarsi le prime pagine dei giornali. Trafficano in armi, i sei. Si addestrano nell'uso degli esplosivi. Sono in prima linea nell'assalto alla Scala e nella sparatoria di via De Amicis. Rapinano banche per finanziarsi. Assaltano un carcere. Distruggono una stazione del metrò. Gambizzano. L'attività della Brigata culmina con l'omicidio di Tobagi, un giovane giornalista di area socialista. Quattro mesi dopo l'agguato, Marco Barbone, il leader del gruppo, viene arrestato: farà i nomi degli altri per salvarsi e usufruire di una legge appena varata che condona la pena in caso di collaborazione con la giustizia.
275 d.C., confine renano. La foschia della notte aleggia ancora sul villaggio addormentato quando i soldati romani irrompono tra le capanne, rovesciando sugli abitanti una valanga di ferro e di fuoco. Per Valerio e per l'Impero una nuova quanto inutile vittoria. Qualcosa di nuovo sta succedendo oltre il Reno. Una coalizione di tribù di dimensioni mai viste si sta riunendo per invadere le Gallie. Il destino di Roma sembra segnato. Alla valorosa XXII legione di Valerio Metronio spetta il compito di tentare l'impossibile.
Gli ultimi mesi erano stati un vero schifo per Nic Morgan. Sua moglie Lucy, la donna di cui si era innamorato a prima vista in un giorno di pioggia, era morta in un incidente d'auto a soli ventotto anni. E, quel che era peggio, non era sola; alla guida, infatti, c'era il suo amante e Nic aveva saputo di quella maledetta tresca solo quando non c'era più nulla da fare. Per non parlare poi del lavoro: da quando era rimasto solo, concentrarsi gli era quasi impossibile e quelle due iene che miravano da tempo al suo posto di vicepresidente di un'importante multinazionale petrolifera ne avevano approfittato mettendolo in cattiva luce con il capo. Di un uomo annebbiato dal dolore non ci si può fidare, perciò Nic viene mandato via da San Francisco e spedito nel Corno d'Africa. La situazione che si trova di fronte è bollente, inglesi da una parte, francesi dall'altra e Islam dovunque. I paesi confinanti che tramano per far diventare la zona una polveriera. I guerriglieri che trucidano i nemici indiscriminatamente. Ma quella è anche una terra incontaminata, piena di ricchezze naturali di cui, però, la popolazione non può disporre in alcun modo. Così Nic, grazie ai consigli di Thomas, un collega del posto, e di Theresa, dirigente di una società che fa ricerche geotermiche, comprende che in quel luogo può spegnere la rabbia che lo sta consumando: con dei progetti di cooperazione internazionale si può riportare l'acqua a coloro a cui appartiene di diritto, un modo per sentirsi di nuovo utile.
Una nuova impresa chiama a gran voce Conan il druido. Si racconta che il relitto di una nave incastonato tra i ghiacci celi nelle proprie stive un tesoro dal valore inestimabile, inghiottito dalle acque scure dei mari del Nord insieme a tutto l'equipaggio. Ora tra i Lochlann, le genti scandinave, in molti bramano il possesso di quel bottino, primo tra tutti re Hargar, che intende servirsene per difendere il trono. E così i suoi sudditi, che, stanchi dei continui soprusi, vedono in quelle ricchezze la chiave della loro libertà. Reclutato dai ribelli affinchè sostenga la loro causa, Conan, con l'appoggio di un gruppo di fedelissimi e noncurante delle insidie che lo attendono, si metterà sulle tracce della nave misteriosa e del suo prezioso carico, appagando ancora una volta il suo innato spirito di avventura.
È stato costretto a nascondersi tra le tribù ancora libere della Colchide. Costretto a diventare bandito per sfuggire a chi vuole la sua morte e quella di suo figlio. Costretto a combattere e razziare, un’ombra, un animale selvaggio, forse solo una leggenda. Valerio il medico, il gladiatore, l’uomo che sa come ridare la vita e come toglierla, ora è il ribelle che odia i romani e che Domiziano, il crudele figlio dell’imperatore, brama di vedere morto.
In quegli stessi anni, violenti e tormentati, suo fratello Antonio Primo è a Roma per sovrintendere i lavori della più grandiosa opera che l’impero abbia mai immaginato: l’Anfiteatro Flavio, il futuro Colosseo, un gigantesco cantiere che coinvolge migliaia di maestranze, materiali, macchine, impianti idraulici, la costruzione prodigio che richiama visitatori da ogni angolo d’Europa. Solo il carisma di Antonio, ha sentenziato Vespasiano, può guidare quell’esercito di uomini alla realizzazione di una simile impresa.
Poi verranno i giochi, le feste, i mortali combattimenti di uomini e fiere, i cento giorni memorabili della trionfale inaugurazione.
Imperatori si avvicenderanno. Eserciti si scontreranno. E due fratelli si ritroveranno: Valerio il ribelle e il comandante Antonio Primo, due soldati che credono nell’onore, impegnati su fronti opposti.
Una mattina di novembre, sei uomini armati in una banca. Una comune rapina, che si porta dietro un cadavere. La vita di Francesco che cambia di colpo. Quando qualcosa che dovrebbe chiudere col passato finisce invece per andarlo a stanare.
Un passato lontano. La fine degli anni Settanta, l’inizio degli anni Ottanta. Una loggia massonica che ha al suo interno militari, politici, uomini dei servizi segreti, banchieri e bancarottieri. Ragazzi di vent’anni che diventano il più pericoloso gruppo terroristico di estrema destra. Un’organizzazione clandestina che cambia faccia, ma non cambia uomini, non cambia ideali. Un magistrato che tenta di capire. E un uomo che molti vorrebbero uccidere insieme ai suoi segreti e che Francesco, invece, vorrebbe conoscere. Il suo presente viene dalla storia di quegli anni, coperta da una polvere così sottile che a volte basta soffiare un po’ più forte per farla affiorare. Dal racconto di quell’Italia assordata da troppi silenzi. E di quello che è successo prima e dopo l’esplosione alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980.
Treviso, 1259. La città è stretta nella morsa della calura, l'aria stagnante toglie il fiato. Ezzelino da Romano siede severo sullo scranno, il viso impassibile e lo sguardo impenetrabile bastano a identificarlo come podestà senza che inutili orpelli ricoprano il corpo ormai consumato da mille battaglie. Di fronte a lui, insieme a una folla muta e sbigottita, la forca. È quello il destino dei venticinque sudditi che hanno scelto di parteggiare per il Papa e che hanno tradito lui, il loro padrone. Mai nella sua vita Ezzelino ha mostrato debolezza o indecisione di fronte al nemico, e i colpevoli devono morire. Ma quei pochi nobili, impauriti e quasi inconsapevoli della propria sorte, non sono che una goccia nell'oceano dei suoi avversari. Perché il Pontefice sta schierando le truppe contro di lui, per annientare l'ultimo baluardo dell'Impero, per uccidere l'Anticristo e la sua stirpe. Ancora una volta Ezzelino sarà costretto a combattere in quell'impasto di dolore ed esaltazione che è la guerra, ma questa sarà la sua ultima battaglia.
Nel cuore del deserto del Sinai sorge una fortezza inespugnabile, protetta da marchingegni temibili. Infuriava la quarta crociata quando uomini vestiti di bianco con una grande croce rossa sul petto giunsero sulla cima della Montagna della Notte per nascondere un segreto. Una formula antica, che molti credevano perduta. La formula per creare il fuoco greco, l’arma micidiale che per secoli ha permesso a Costantinopoli di tener testa alle armate degli infedeli. Da allora pochi cavalieri, scelti tra i più valorosi dell’Ordine del Tempio, difendono il loro tesoro a qualunque costo. Nessuno ha mai varcato i confini della fortezza senza perdere la vita.
Secoli dopo, nel 1666, l’agha Hettin, signore di Algeri, si mette sulle tracce della formula, con l’aiuto di studiosi ed esperti di cose antiche. Il suo braccio armato, il fanatico predone Al-Raisul e il suo esercito di Sciacalli del deserto sono incaricati di recuperarla. Al loro passaggio la sabbia si fa rosso sangue.
Con il segreto del fuoco greco nelle mani di Hettin, l’Occidente cristiano avrebbe i giorni contati.
Ma qualcosa sconvolge i suoi piani: l’intrepida Beatrice, bellissima zingara catturata dai pirati e ceduta prima all’harem di Hettin e poi a quello del sultano di Costantinopoli, scopre le sue mire e, una volta libera, con l’aiuto del suo uomo Fulminacci e del saggio Melchiorri, decide di trovare la formula prima che cada nelle mani sbagliate.
Quella sarebbe stata una giornata come tutte le altre per Alexandre Dumas, se non fosse stato per una bizzarra vecchia che gli aveva proposto di leggergli gli astri per l'anno successivo, il 1844. Dopo i primi convenevoli, infatti, si era accorto che l'indovina non aveva alcuna intenzione di parlargli dell'oroscopo, ma che aveva una storia da raccontare, la propria. Per una volta sarebbe stato lui lo spettatore. Tutto aveva avuto inizio a Modigliana, in Romagna, dove la madre della chiromante, Vincenza, l'aveva data alla luce e l'aveva chiamata Maria Stella. In breve, però, Vincenza si era accorta che l'accenno di chioma scarlatta e i piccoli occhi di cielo della neonata non potevano venire né da lei né da Lorenzo, suo marito, entrambi neri come la pece. Quella non era sua figlia. Ma quando aveva provato a parlare dei suoi sospetti, nessuno le aveva creduto, e Vincenza si era vista costretta a frugare in lungo e in largo la casa, e a chiedere ai vicini; era arrivata addirittura a interrogare il signor Conte. La scoperta sull'origine della bambina era stata sconcertante, ma Vincenza si era confidata solo con la piccola Maria Stella che, dopo tanti anni, aveva deciso di mettere Dumas, il grande scrittore, a parte di quello scandalo che avrebbe potuto minare dalle fondamenta l'intero regno di Francia. Quella era stata una strana giornata per Alexandre Dumas e la storia che aveva udito sarebbe diventata fonte di ispirazione per uno dei suoi capolavori.
Mentre i bagliori dei bombardamenti continuano a punteggiare il cielo di Baghdad, un giovane uomo cammina sui tetti a terrazza della città che sembra avvolta in un tempo dilatato e sospeso. Nessuna voce, nessun rumore se non quello dei tuoni sordi che rimbombano confusi e intermittenti sullo sfondo della scena. L’uomo avanza nel nulla, come un miraggio, poi con la mano afferra un bastone lungo e sottile celato dietro a un muretto. Non appena lo alza, decine di piccioni spuntano dal niente del cielo e iniziano a danzare attorno a quel bastone, al ritmo di una musica che nessun altro può sentire.
Fahim, questo è il nome del giovane uomo, a un tratto si ferma e guarda il cielo. Una piccola piuma bianca scende svolazzando e lui apre la mano per accoglierla. Un gesto semplice, che lo riporta indietro nel tempo, a quando era un bambino. Al giorno in cui suo fratello Ali gli ha regalato una fionda fatta con le sue mani, per sottrarlo ai suoi sogni a occhi aperti. Quello è il giorno in cui tutto è cambiato. Un piccolo dramma in mezzo a quelli grandi della sua terra, un evento che ha trasformato per sempre la sua vita, chiudendogli una strada e aprendogliene altre, inaspettate.
Raccontando la storia di Fahim e della sua famiglia, il suo prezioso mistero, i suoi dolorosi e deliziosi segreti, queste pagine narrano anche quella di un paese millenario, in bilico tra la raffinatezza e la sensibilità delle tradizioni mistiche sufi e il dramma insensato della guerra.