«È opinione diffusa che gli uomini di scienza siano austeri e glaciali - scrive Arthur Koestler - ma se si facesse leggere un'antologia di brani tipici estratti dalla loro corrispondenza e senza citarne i nomi si chiedesse di indovinare la loro professione, la risposta sarebbe: poeti, musicisti, artisti, visionari, pazzi...». Persino un fisico cauto e giudizioso come Max Planck sosteneva che «lo scienziato deve avere una vivida fantasia per le idee nuove, prodotte non dalla deduzione logica, ma da un'immaginazione artisticamente creativa». In forma analoga si esprimeva Paul Dirac, uno dei fisici più brillanti e geniali del Novecento, quando affermava che nella scienza verità e bellezza non devono essere separate. Perché il pensiero scientifico non è intriso esclusivamente di razionalità e rigore, ma anche di eleganza e luminosa armonia. Si nutre non solo di oggettività e freddezza, ma anche di passione e di delirante immaginazione. Come un acrobata sospeso sul filo, lo scienziato creativo procede in oscillante equilibrio tra realtà e fantasia, ragione e sentimento. E se giunge a un approdo "sicuro" lo fa superando una serie di sfide non solo intellettuali ma anche emotive, grazie alle quali riesce ad andare oltre la propria razionalità senza rinnegarla.